La dottoressa Jeannine Fava Motta ci ha gentilmente concesso un’intervista per le nostre news, qui di seguito trovate la sua testimonianza sull’utilizzo della Floriterapia presso l’Ospedale Neuropsichiatrico di Mendrisio.

Formazione professionale e dati anagrafici.

Sono nata a Parigi nel 1940. Mi sono laureata all’Università d Parigi, facoltà di Medicina e Chirurgia nel 1971. Dall’agosto del 1971 ho lavorato presso l’Ospedale Neuropsichiatrico di Mendrisio. Specializzazione in Psichiatria a Milano nel 1982 , in Sistematica con il Dr. Günter a Briga nel 1986 e in Psicoterapia Cognitiva a Milano.

Come è iniziato il suo percorso professionale?

Sono vissuta a Parigi e lì ho studiato Medicina. Mi sono sposata con un milanese e sono venuta ad abitare a Milano. Quando mi sono sposata, non avendo ancora ultimato gli esami di medicina, prestavo servizio in un ospedale di Milano come stagiaire. Nel frattempo ho avuto un primo figlio.

 

Perché è venuta in Ticino?

Allora, fine anni sessanta, tra Italia e Francia non esistevano ancora accordi bilaterali per l’esercizio della professione medica, non vi era equipollenza tra le lauree. Lavoravo a metà tempo all’Ospedale di Niguarda a Milano e lì ho avuto l’occasione di incontrare un collega che aveva sempre desiderato lavorare in Psichiatria e che aveva avuto una richiesta di lavoro presso l’ONC (Ospedale Neuropsichiatrico cantonale) di Mendrisio.

Dopo qualche tempo ho ricevuto una sua lettera dove mi informava che a Mendrisio potevano lavorare anche medici stranieri. Sono venuta a Mendrisio e ho incontrato il dottor Bosia che sarebbe poi diventato direttore dell’ospedale. Erano gli anni nei quali Benito Bernasconi, direttore del DOS (Dipartimento della Salute), si era preposto di aumentare il numero dei medici presso l’OSC (ve ne erano due o tre per mille e passa pazienti). Il dottor Bosia mi ha accolto più che volentieri, benché all’inizio io non fossi molto convinta data la mia situazione familiare: mio marito e mio figlio a Milano ed io a Mendrisio. In seguito la psichiatria mi ha affascinato e non l’ho più lasciata.

Quale situazione ha trovato a Mendrisio?

In quegli anni la situazione dei pazienti era particolarmente tragica. Vi erano persone che non uscivano mai dal reparto. I pazienti venivano curati con psicofarmaci a dosi molto elevate, veniva somministrata loro l’insulina e gli elettrochoc erano pratica quotidiana Questo periodo, primi anni settanta, di grandi rivolgimenti in tutti gli ambiti istituzionali, anche presso di noi ha portato a riflessioni e spinte verso cambiamenti con rimessa in discussione della presa carico dei pazienti.

Quando mio figlio, allievo delle elementari, un giorno uscì con una frase tipo: "Lo sai come lo chiamano il tuo ospedale? Lo chiamano il manicomio“, per me è stato veramente uno shock; ma era proprio così che l’ospedale era visto nel borgo. Negli anni successivi vi è stata una volontà ad un susseguirsi di impegni per cercare di modificare tante cose a livello di istituzioni sulla scia di quello che succedeva in Italia con Basaglia.

Ho avuto il privilegio di vivere tutti questi cambiamenti.

Come è entrata in contatto con la floriterapia e quando ha deciso di provare ad utilizzarla professionalmente?

La prima volta che ho sentito parlare dei fiori di Bach è stato da un mio paziente ipovedente, arrivato in ospedale per una sintomatologia depressiva. A quei tempi non esistevano appartamenti protetti e quindi trascorreva il suo tempo in ospedale. Nell’ambito dell’Unitas (associazione svizzera di ipovedenti) si tenevano molti corsi, tra cui uno di floriterapia. Un giorno il paziente in questione mi avvicina e mi dice: "Dottoressa, se un giorno mi vede nel parco abbracciato ad un pino non deve spaventarsi ma è perché ho fatto questo corso di floriterapia". Mi sono incuriosita e gli ho chiesto di scrivermi qualcosa a proposito della floriterapia. La curiosità c’era ma tutto è rimasto fermo fino a quando un’amica infermiera che aveva seguito un corso sui fiori e voleva farli conoscere a chi lavorava con lei. Eravamo nella primavera del 1995. In quel corso i medici erano pochi, per la maggior parte erano infermiere. Qualche medico aveva partecipato al corso e so che tuttora impiega la floriterapia.

I corsi si sono susseguiti e questo ha permesso a chi lavorava in ospedale di perfezionarsi nella loro conoscenza. E` stato un periodo di grande coinvolgimento per questa novità. Si era formato un piccolo gruppo che utilizzava la floriterapia, del quale faceva parte anche il dottor Monasevic, direttore medico del reparto del Mendrisiotto. Con l’intento di ampliare questo discorso venne creato il "REMEDY CLUB" negli anni 95-96: ci si ritrovava regolarmente per scambiarci le esperienze ma il nostro desiderio più grande era di utilizzare i fiori in ospedale. Noi sognavamo uno spazio che sarebbe stato adibito alla floriterapia per dare densità alla cosa. Si fece di tutto ma a livello amministrativo non fu possibile anche se i direttori medici erano d’accordo. Il dottor Monasevic allora ha fatto richiesta al farmacista di un set di fiori di Bach ufficializzandomi responsabile della somministrazione dei Fiori di Bach. La floriterapia, chiamata terapia complementare, veniva utilizzata in ospedale e anche al Servizio psicosociale di Mendrisio.

Ci sono state difficoltà nell’utilizzarla all’interno dell’ospedale neuropsichiatrico?

Visto che il direttore del mio settore era favorevole, nel mio reparto non ci sono state difficoltà. La difficoltà è stata generalizzarne l’utilizzo. L’ultima volta che ero a Lugano per delle giornate di studio ho incontrato un’infermiera che aveva seguito i corsi con noi e che tuttora utilizza i fiori in reparto: mi diceva che sovente il medico ne “tollera” l’uso.

Negli anni 90 c’è stato un convegno con la signora Ruth Dreyfuss, Consigliera federale, che credeva molto nella medicina alternativa. Durante l’incontro erano presenti anche i nostri direttori. Da allora una certa apertura si è verificata ma è pur sempre il medico responsabile di reparto che alla fine decide: se non dà spazio alla terapia alternativa non la si può utilizzare.

I fiori di Bach sono stati efficaci?

Sicuramente sono stati efficaci. Sempre e solo in ambito complementare. Nessuno deve pensare di utilizzare solo i fiori come terapia psichiatrica. Cherry Plum era molto efficace (rabbia, distruttività) ed è stato sovente abbinato agli psicofarmaci.

In quali tipi di pazienti?

Ci siamo un po’ incuriosite a provarli su diversi tipi di patologie ma si dimostravano utili soprattutto di supporto alle terapie classiche. Ricordo il caso di un paziente, un giovane studente che era stato ricoverato per un momento grave di psicosi acuta. Temeva molto il rientro a scuola e l’entrata in aula. Per questi stati di panico, oltre ai farmaci gli venivano somministrati adeguati fiori.

I pazienti accettavano di essere curati con i Fiori di Bach?

Il grosso rischio è che gli psicotici non amano le terapie con i neurolettici perché provano troppi effetti secondari. Il loro pensiero“adesso prendo i Fiori di Bach e non prendo più i farmaci” è un errore. Tutto sta nella scelta del paziente e considerare la terapia dei Fiori di Bach complementare e non sostitutiva della terapia di base.

Come sono stati utilizzati?

Soprattutto a livello orale. Non ricordo altri utilizzi.

Adesso che è in pensione c’è qualcuno all’interno dell’ospedale che continua ad utilizzarli?

L’infermiera, sicura dell’efficacia dei fiori di Bach, abbinati alle terapie classiche sempre con l’accordo del medico di reparto. Maria Balzola, medico psichiatra che lavora a Rho, socio fondatore dell’Unione Italiana di Floriterapia, ha scritto un bellissimo libro "I fiori della mente" che mi sembrava bello far conoscere il più possibile ai colleghi. Ne ho fatto dono a molti miei colleghi psichiatri ma penso proprio che nessuno sia giunto a fine lettura.

Cosa si aspetta dalla floriterapia nel campo psichiatrico nel futuro?

Per me è una cura molto valida che può essere abbinata anche agli altri farmaci soprattutto come prevenzione. Chi soffre di un disagio, prima che si acuisca, lo si può aiutare con i fiori di Bach. Ora che non lavoro più in ospedale e che ricevo solo in studio non utilizzo più psicofarmaci ma solo floriterapia, fitoterapia ed altro. Già di partenza i miei pazienti chiedono terapie alternative e non i farmaci.

Sarebbe auspicabile per chi si specializza in Psichiatra poter seguire corsi di medicina alternativa. Poter scegliere corsi di terapie complementari: i fiori di Bach, la cromoterapia, l’agopuntura o altro non sarebbe che un arricchimento per il medico psichiatra e per le cure mediche in generale.